Storia ambientale delle aree industriali

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Viene pubblicato in un interessante libro i risultati del convegno “La questione ambientale nelle aree industriali italiane , esperienze e confronto” ( Melilli, 23 – 24 Marzo 2007 ) e di un panel su industria e ambiente tenuto nell’ambito del convegno “Cantieri di Storia” promosso dalla Società italiana per lo studio della storia contemporanea ( Marsala, 18 -20 Settembre 2007 ).

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È significativa la scelta di Melilli per il convegno come luogo simbolo, perla Siciliaintera, dei guasti provocati dall’industria petrolchimica.

I saggi contenuti nel volume trattano della storia dei maggiori plessi industriali, con l’esclusione del caso di Taranto, costruiti in Italia nella seconda metà del Novecento.

Al di là delle differenze geografiche e dei singoli casi con le loro specificità, la rassegna delle storie delle realtà urbane ed extraurbane  (la Caffarodi Brescia, Bagnoli, Porto Marghera, Terni e Narni ecc. ) è contraddistinta dalla non corretta interazione dell’uomo con il territorio: essa ha finito per provocare gravi danni ai bacini idrici, alle falde acquifere, ai fiumi, al suolo ed infine alla salute dell’uomo stesso.

Al contempo queste pagine descrivono il profondo impatto sulla storia sociale e sull’occupazione, nonché la crescita delle comunità attorno al plesso produttivo; dunque la rassegna tocca l’economia, l’ambiente, la storia e la geografia degli insediamenti urbani.

Gli studi qui pubblicati non riportano nuovi dati acquisiti, ma fanno il punto della ricerca su questo campo poco noto ai non addetti ai lavori.

Non ci si occupa qui dei contesti storico – economici nei quali avviene la costruzione di queste industrie; la storia italiana è solo in qualche misura richiamata dalla narrazione, diciamo così, degli avvenimenti.

Da questo punto di vista il volume offre solo una prima tappa di una analisi più complessa che può essere approfondita tramite l’analisi della storia politica ed economica dell’Italia nella seconda metà del XX secolo.

Pur in mancanza di tale contesto le notizie riportate non perdono la loro autonomia, logicità; ma da sole non mitigano lo sbigottimento che si prova a considerare, nella sua interezza, un tale scempio del patrimonio ambientale del paese.

Anzi lo accrescono, in assenza di cause o motivazioni che vadano al di là di una cinica logica del profitto o dell’ignoranza, da parte dei responsabili, dell’inquinamento ambientale.

Gli approcci metodologici scelti nei saggi sono diversi, ma per ogni area industriale gli autori sembrano raccontare, in generale, una ricorrente catena di avvenimenti che qui proviamo a riassumere.

Nel secondo dopoguerra crescono le attese e le speranze di prosperità di una data comunità: le attese sono sollecitate e legittimate dalle società e dagli enti che decidono di investire in quel territorio, appoggiati dalla classe politica locale.

Segue la fase di progettazione e costruzione, spesso sovradimensionata; la previsione dell’impatto ambientale è frutto di analisi superficiali o frettolose, tutto ciò è provocato anche da una normativa ancora insufficiente negli anni ‘50 / ’60 e dalla mancanza di appositi organi di controllo.

Abbiamo poi lo sviluppo vero e proprio del plesso, al quale è parallelo lo sviluppo

urbano – industriale di moderni slums, costruiti in prossimità delle industrie.

Dunque il progressivo ma inequivocabile inquinamento del territorio, accompagnato spesso da un crescente disagio nella qualità della vita e nella salute da parte della popolazione limitrofa.

Nascono allora i movimenti di protesta spontanei dei cittadini e degli operai, seguiti dall’intervento della politica alle prese con una nuova realtà non solo per la storia repubblicana, ma anche per quella italiana: si devono affrontare le conseguenze della prima vera e propria rivoluzione industriale ( quasi si potrebbe parlare di terza rivoluzione industriale, nel nostro caso) che ha investito tutta l’Italia. Il fenomeno ha il suo culmine negli anni ’70.

I movimenti di protesta si frazionano al loro interno, divisi tra le istanze ambientali e la necessità, per i dipendenti, di continuare a lavorare e a vivere nelle proprie abitazioni; queste articolazioni del problema svelano drammatici retroscena, in realtà appena accennati in queste pagine.

In un crescendo di risonanza delle notizie sulla stampa locale e nazionale, la politica appronta una normativa che costringe gli industriali a fare dei concreti passi avanti verso la soluzione dei problemi; ma i provvedimenti si rivelano tardivi e insufficienti rispetto alle proporzioni del danno ambientale arrecato.

Infine, la crisi siderurgica della prima metà degli anni ’80 costringe alla chiusura di parte degli impianti e ai conseguenti licenziamenti; cala allora il silenzio su queste entità e sui danni ambientali da esse provocati.

Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 si avanzano diverse proposte di bonifica e riqualificazione dei veri e propri mostri industriali prodotti e dei quartieri annessi; questi progetti, lì dove vengono realizzati avranno esiti diversi.

In taluni casi invece una totale immobilità delle istituzioni e dei proprietari degli stabilimenti e dei terreni adiacenti mantiene irrisolti i problemi creati in venti e più anni di uso indiscriminato del territorio, tra progetti di riconversione industriale e ventilate, ma improbabili, vista l’attuale situazione economica, nuove assunzioni.

Questa a grandi linee la storia ricorrente nel volume, che ha naturalmente sviluppi e finali diversi a seconda del caso trattato.

Ogni lettore che viva in prossimità delle località trattate potrà ripercorrere attraverso una solida documentazione la storia del proprio territorio, della propria cittadinanza, le vicende di ecosistemi violati e imbruttiti. Agli altri lettori viene consegnata una storia che avrebbe potuto essere la propria, quella della propria comunità: in ogni caso una importante, non trascurabile, ma spesso trascurata parte della storia contemporanea d’Italia.

Attraverso questo bel volume, denso di significati, apprendiamo il lascito di queste rovine industriali: testimoni delle promesse di progresso e di felicità non mantenute, simbolo della fallacità umana, monito per i progetti futuri.

Luca Platania

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