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Pag.7 - Italia, la frana che scivola sempre più in basso

In edicola > Articoli pubblicati > N°13-14 2010

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Da L'Aquila a Scaletta Zanclea, storie da un Paese che sta perdendo la speranza

L’Aquila paradigma del “caso” italiano; ma non solo. Poi ci sono situazioni che si dimenticano, come mai esistite. Qualcuno per esempio, sa più nulla della frana che, in seguito a una devastante alluvione, nell’ottobre scorso, ha provocato 37 vittime a Scaletta Zanclea?

di Valter Vecellio

Se ha ragione il detto popolare che vuole il demonio nascondersi nei particolari, per quel che riguarda la vicenda dell’Aquila, quello che occorre è un esorcista a tempo pieno. Particolari fino a un certo punto, poi. Si tratta piuttosto di “spie” di come, mentre da una parte vigili del fuoco, uomini della Protezione civile, volontari lavoravano ventiquattr’ore su ventiquattro per cercare di limitare i danni, altri si ingegnavano per sfruttare la situazione. E non si parla solo di quella “cricca” le cui imprese sono nel mirino delle indagini della magistratura.
Eccone alcune, di quelle “spie”.
Il coordinatore nazionale delle rappresentanze di base dei vigili del fuoco Antonio Jiritano, per esempio, denuncia una cosa molto grave. I vigili del fuoco accorsi dalla Toscana piantano un campo base a Monticchio, una frazione de L’Aquila. Individuano un terreno, piantano tende, cucine da campo, bagni chimici; per settimane lavorano giorno e notte, come matti. Arriva la brutta stagione, piogge torrenziali, il campo frana. Alla meglio ci si dà da fare per puntellarlo, ed ecco che dal terreno saltano fuori una quantità di cose sospette: bidoni corrosi, contenitori mezzo sfasciati. Si scopre che il campo poggia su un deposito abusivo di scorie tossiche, c’è di tutto: arsenico, zinco, sostanze chimiche che l’agenzia per la protezione dell’ambiente ha stabilito essere estremamente pericolose. “Per dieci mesi siamo stati lì e nessuno ci ha detto niente, dice comprensibilmente furibondo Jiritano: “Con i nostri mezzi abbiamo fatto qualche verifica, s’è capito subito che erano sostanze tossiche. A quel punto è saltato che tutti lo sapevano, la chiamavano “la fossa dei veleni”, era una specie di discarica illegale, e nessuno si è preoccupato di avvisarci”.
Attenzione: come dice Jiritano: “Per dieci mesi siamo stati lì, e nessuno ci ha detto niente… tutti sapevano cosa c’era sotto, e nessuno si è preoccupato di avvisarci…”. Chissà di quante altre cose, “tutti” sapevano, e “nessuno” si è preoccupato di avvisare…
Altre “spie”, altri “indizi”: c’è chi aspetta la casa distrutta e non sa quando gli verrà ricostruita, e come e dove; e ci sono una serie di spese che in occasione del vertice G8 dell’Aquila sono state fatte, che certo non sono determinanti ma sicuramente sono indicativi. Le legione di diavoli che si nasconde nel “particolare”.
Il 1 marzo di quest’anno, un’altra combattiva parlamentare radicale, Maria Antonietta Farina Coscioni, ha presentato una raffica di interrogazioni: cose apparentemente piccole e minori: se era vero che la verifica della piena applicazione della legge 626, che regola la sicurezza del lavoro in occasione del vertice era stata affidata a un signore che, come titolo di merito e curriculum, poteva vantare l’essere stato scenografo di “Colpo grosso”, una trasmissione di spogliarelli andata in onda su televisioni private negli anni ’80; che si erano spesi 10mila euro per bolli-acqua del the; 10.200 euro per posacenere (in ambienti dove, per inciso, non si poteva fumare); 22.500 euro per la fornitura di una quarantina di ciotoline in argento omaggiate; 175.576,80 euro per la fornitura di bandiere e pennoni; 373.233 euro per il noleggio di poltrone Frau; 26mila euro per l’acquisto di 60 penne edizione unica; 78mila euro per la fornitura di album, sottomano da scrivania, portablocchi, cartelle; 300mila euro per mobili forniti da una ditta che per il 64 per cento pare sia proprietà del presidente della Regione Abruzzo e commissario delegato all’emergenza terremoto e ricostruzione; 24mila euro per asciugamani e accappatoi…
Bene, sapete che c’è? C’è che è tutto vero, al millesimo. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito ha confermato tutto.
Questo è il modo di fare, al di là delle retoriche di cronache compiacenti e compiaciute di giornalisti che confezionano i loro articoli con edulcorate veline degne dell’agenzia Stefani; e si comprende anche la rabbia che “improvvisamente” si è palesata a Roma, quando ai terremotati dell’Aquila è stato perfino impedito di manifestare davanti a Montecitorio, e si è provato a contrabbandare la maldestra e sgangherata teoria di disordini provocati da “infiltrati” di non meglio identificati “centri sociali”.
L’Aquila, dunque, paradigma del “caso” italiano; ma non solo. Poi ci sono situazioni che, dopo l’iniziale attenzione e stupore, ci si scrolla di dosso, si dimenticano, come mai esistite. Qualcuno per esempio, sa più nulla della frana che, in seguito a una devastante alluvione, nell’ottobre scorso, ha provocato 37 vittime a Scaletta Zanclea? Tra la generale indifferenza il 10 luglio scorso a Scaletta Zanclea una nuova frana, un costone roccioso si è staccato dalla montagna, una massa di terra e detriti di 15mila metri cubi. Una frana, dicono molti in paese, provocata anche da lavori costosi (circa 542mila euro) e assolutamente inutili: "Non estranei a questo nuovo disastro”, dice Antonino Cucinotta, proprietario di un terreno e di un’abitazione proprio nell’area della frana, e testimone dell’accaduto;: “Stavo lavorando nel mio terreno, ho sentito un boato terrificante, ho visto la montagna sgretolarsi. Osservando lo scenario, ho capito. Da mesi ogni giorno vedo potenti escavatori togliere tonnellate di materiale dall’alveo del torrente nell’ambito di lavori che, come dice il cartello, dovrebbero essere di messa in sicurezza. Non è un caso che la montagna abbia ceduto esattamente nel luogo in cui sono stati eseguiti questi lavori".
Lo ammette anche il responsabile tecnico dei lavori, Gaetano Sciacca, ingegnere capo del Genio civile di Messina. Irene Falconieri, portavoce del gruppo cittadino per Scaletta racconta: “Sciacca ci ha chiesto scusa e ha ammesso che i lavori possono aver determinato la nuova frana”. E aggiunge: "Siamo tutti preoccupati, e viviamo nel terrore. Settembre è alle porte, e alle prime piogge una nuova tragedia è dietro l’angolo. In nove mesi, cosa è stato fatto? Praticamente nulla, in quanto la situazione è la stessa e anzi, quel poco che è stato fatto, come abbiamo visto, ha solo peggiorato la situazione gettando duemila persone nell’angoscia”.

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