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In edicola > Articoli pubblicati > N°1_2011
Tante beghe nel Pdl, della cosiddetta opposizione non si hanno notizie
A Ragusa, finito il tempo delle nomine estive del sottobosco del potere, è ora di rimpasti
e ristrutturazioni di giunte.
Il tutto sullo sfondo di uno scenario sempre uguale, sempre identico e negativo
I nomi che si avvicendano da questa a quella poltrona sono più o meno gli stessi: un ristretto club di predatori di cariche e predoni di nomine, spassosa parte di uno show maldestro e soffocante che confligge con il disperato crescente bisogno di sostanza che i cittadini chiedono alla politica.
di Ernesto Girlando
Fosche o sorridenti che siano le prospettive (le prime sembrano essere di molto in vantaggio sulle seconde), l'unica certezza è che il senso di perenne casino (difficile trovare sfumature linguistiche che rendano meglio) è in costante aumento. Nondimeno, a giudicare dalle polemiche e dai litigi attorno a ogni nomina, a ogni poltrona, a ogni incarico, piccolo o sostanzioso che sia, non si direbbe che la politica sia in "crisi". Lasciamo perdere il posto da onorevole, ma perfino il più periferico e marginale posizionamento nella giungla del sottogoverno italico, ha ancora il suo pur minimo prestigio sociale: conferisce, prima di ogni altra cosa, uno status di appartenenza a pieno diritto a una casta.
Qualsiasi vicepresidenza di qualcosa, qualsivoglia po-sto in un consiglio di amministrazione di una qualunque controllata, partecipata, municipalizzata, consente a colui che ne usufruisce di ergersi dal pantano dell'ordinario, di elevarsi dalla dimensione frustrante di citta-dino "comune". In genere, i nomi che si avvicendano da questa a quella poltrona sono più o meno gli stessi: un ristretto club di ferini, per quanto precari e parassitari, predatori di cariche e predoni di nomine, spassosa parte di uno show maldestro e soffocante che confligge con il disperato crescente bisogno di sostanza che i cittadini chiedono alla politica.
A Ragusa, finito il tempo delle nomine estive del sottobosco del potere, è ora di rimpasti e ristrutturazioni di giunte. Il tutto sullo sfondo di uno scenario sempre uguale, sempre identico a se stesso. Al contrario di Eraclito e del suo panta rei per Leontini e compagni niente scorre.
Correva l'anno 1967, al Congresso di Milano della gloriosa Democrazia Cristiana, nasceva la corrente dei "pontieri", con il proposito di fare da ponte (e per questo così detta) tra la maggioranza e la sinistra del parti-to. Raccolse il 12% e subito si pose il problema della sua rappresentanza in seno alla direzione del partito. Adolfo Sarti chiese un parere a un funzionario della DC, tale Massimiliano Cencelli, che propose di adottare il metodo in uso nei consigli di amministrazione delle società: tante azioni possedute, tanti rappresentanti in percentuale. Sarti volle che Cencelli lavorasse all'ideazione di un vero e proprio sistema da usare per tutte le nomine. Fu da quell'idea che nacque il famoso "manuale Cencelli": da lì a poco diverrà lo strumento di rife-rimento, adottato anche per la nomina di ministri e sottosegretari del secondo governo Leone (e di tutti gli altri che seguirono) e via via esteso a ogni investitura di organismi e consigli di ogni ente. Si tratta di un cal-colo complesso e flessibile per cui ogni posto ha un "valore": per esempio il ministero degli Interni ha un valore maggiore di quello dei Beni culturali. E così per i sottosegretari (pare che un posto da ministro valesse due sottosegretari e mezzo). Insomma un calcolo che tiene conto del valore aritmetico, ma anche del peso politico dell'incarico, della rappresentanza geografica e via dicendo. Il "manuale Cencelli" funse durante la Prima Repubblica da norma regolatrice che veniva adottata in tutti i casi in cui c'erano posti di potere da spartire.
Sulla scorta di questo epico strumento di lottizzazione, la nomina estiva, in quota Peppe Drago, di Rosa-rio Alescio (presidente anche della Crias, e già presidente di tanti altri enti e sottoenti) prelude a quella della presidenza della Soaco (Società aeroporto di Comiso) che, secondo le logiche del Cencelli, sarà un appan-naggio di Leontini (Pdl già lealista), e a quella del Consorzio universitario, attribuita alla componente politi-ca facente capo a Nino Minardo (ex Pdl Sicilia che non ha seguito Miccichè nei suoi tortuosi propositi). Per la Soaco, a sua volta, è prevalso il criterio geografico (andrà a un comisano, che vanta nel proprio curricu-lum, oltre all'esperienza nel settore alberghiero, il fatto di essere cognato del sindaco di Ragusa), mentre per il Consorzio universitario, c'è una disputa interna alla componente del giovane deputato modicano.
Più cruente le controversie per qualche posto in più o in meno in varie giunte comunali. Spiccano le be-ghe interne al Pdl per la nomina degli assessori della giunta Alfano a Comiso, nomina per la quale, dopo un rimpasto e degli improvvisi cambi notturni di nominativi, si è sfiorata la sfiducia. Bega non di poco conto, soprattutto perché tiene in sospeso la nomina dei nuovi assessori alla Provincia regionale, dove si attende la risoluzione della crisi comisana e il riequilibrio delle componenti per poter procedere al riassetto di giunta, anche a fronte della nascita di nuovi gruppi e dei numerosi transiti di consiglieri da un partito a un altro, da uno schieramento a un altro.
Ora, non è che queste pratiche - discutibili, si capisce - ci scandalizzino più di tanto: ne abbiamo viste ab-bastanza per considerarci ormai uomini di mondo, e di anni di militare a Cuneo (come direbbe il principe De Curtis) ne abbiamo fatti anche più di tre. Quel che invece ci appare sotto il limite di guardia della decenza sono le carenze e le omissioni, le diserzioni e la conseguente mancanza di rappresentatività che segna la vita di un territorio che, ancorché in crisi, meriterebbe, per le sue comunque cospicue potenzialità, ben altra at-tenzione.
A fronte di un solerte attivismo volto alle spartizioni e ai politicantismi, segni del basso impero in cui vi-viamo, ciò che colpisce sono i ritardi e i silenzi di sindaci e deputati allorquando c'è da difendere un patri-monio di memoria e di ricchezze dai tentativi di chi vorrebbe subordinarlo ad altri interessi che non siano quelli collettivi. Quando c'è da intervenire affinché opere appena finanziate ed appaltate necessitano già di integrazioni. Quando, anche dopo averle completate, si impantanano tra i nebbiosi meandri della burocrazia o affondano tra l'indifferenza e l'incapacità di andare oltre l'ostacolo. Quando i soldi pubblici vengono sper-perati o mal spesi o, peggio, vengono dirottati nelle tasche dei più furbi. Trivellazioni petrolifere, vicende paradossali quali l'Aeroporto di Comiso, la Ragusa-Catania, la Siracusa-Gela, l'assegnazione dei fondi ex Insicem, il Parco degli Iblei e il Piano paesistico rilevano con incredulità ora la defezione, ora l'incapacità e il poco peso, ora le sordide complicità, sempre l'inadeguatezza di una classe politica via via meno in sintonia con gli interessi di un intero territorio e dei propri elettori.
Della cosiddetta opposizione non abbiamo notizia alcuna. Talvolta intenta a tentar di ricucire gli strappi dei pezzi che perde per strada, talaltra preda di atti di estremo e patetico narcisismo personale di rilievo poli-tico nullo. Di Giacomo che si incatena prima, e dopo minaccia di reincatenarsi, per protestare contro i ritardi nell'apertura dell'aeroporto, è uno dei più esilaranti repertori appartenenti alla logica stracciona del machia-vello tattico-strategico propria degli urlatori di piazza, e buona solo a ottenere un rilievo mediatico a fronte di un'inguaribile disperazione politica. Protestare (in fin dei conti) contro se stessi, le proprie scelte sbagliate del passato, che hanno causato anni di impasse, vuol dire far sprofondare la politica nel baratro del falso si-stematico, delle vanterie ridicole. Le proteste di Di Giacomo hanno semmai messo in piazza l'ormai quasi nulla capacità di mobilitazione di una parte politica che, fino a non più di qualche anno fa, rappresentava gran parte dei cittadini iblei. Vedere gli eredi di una grande tradizione politica riuscire a portare in piazza a malapena trenta o quaranta persone (inclusi i cani e i gatti al seguito), nemmeno lo stretto apparato del PD, provoca infinite malinconie.
In ogni caso, chiunque sappia dove sia finito il PD ragusano ci faccia il piacere di farcelo sapere.
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