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In edicola > Articoli pubblicati > N°1_2011
Molti occhi sono puntati sulla nostra isola, complice anche l'inerzia del governo
L'incubo marea nera si sposta dal Messico ai mari siciliani
Nel nostro territorio si raffina il 30% del petrolio consumato in Italia e con una riserva di greggio che alcuni hanno stimato intorno ai 2,3 milioni di tonnellate
di Marco Di Salvo
Si è appena alleviata (almeno mediaticamente) la grande paura per il disastro ambientale che ha colpito il Golfo del Messico in conseguenza della marea nera fuoriuscita da un pozzo della British Petroleum, ma in fin dei conti pare non sia successo nulla di grave. Almeno per le compagnie petrolifere che vanno a caccia di nuove opportunità. E molti occhi sono puntati sulla nostra isola, complice anche l'inerzia (interessata?) da parte del governo nazionale.
I numeri
L'isola è già un territorio dove si raffina il 30% del petrolio consumato in Italia e con una riserva di greggio che alcuni hanno stimato intorno ai 2,3 milioni di tonnellate (per informazioni rivolgersi a chi abita ad Augusta, Priolo, Milazzo e Gela qualificate ad alto rischio ambientale, con inchieste giudiziarie per inquinamento e disastro ambientale tutt'ora in corso). In più c'è un altro aspetto che fa riflettere: quello delle royalties, ovvero i diritti che le compagnie pagano alla Sicilia. Bene, da alcune ricerche risulta che quelli siciliani sono tra i più bassi d'Italia. Ricerche non particolarmente difficili visto che questa è un'informazione che forniscono anche i produttori di petrolio nei loro siti: «La struttura delle royalties in Italia è una delle migliori del mondo. Per i permessi offshore le tasse sono solo del 4%, ma nulla è dovuto fino a 300mila barili l'anno». Un bell'affare per tutti insomma, tranne che per i siciliani, naturalmente.
E spuntano i Notriv
Inutile dire che, almeno a livello locale e di tam tam internettiano, questa situazione a fatto nascere subito molte aggregazioni che contestano questa ipotesi di sviluppo per l'isola. E questi gruppi (ribattezzati dalla stampa, con poca fantasia, Notriv) si sono messe in moto ed hanno scoperto alcune altre notiziole sfiziose. Secondo alcune associazioni locali sono già 30 le autorizzazioni concesse in gran segreto. Secondo altri sono invece 40 le compagnie interessate a trovar posto alle loro piattaforme nel Mediterraneo, e che hanno fatto già richiesta al ministero per lo sviluppo economico di indagini e ricerche per scoprire nuovi pozzi di petrolio.
Chi vuole “bucare” la Sicilia
Sono soprattutto americani, ma anche yemeniti e irlandesi che coltivano l'idea di affondare le proprie trivelle davanti la costa siciliana. Sei sono le piattaforme attive collocate lungo la costa Iblea, a Ragusa e nel Golfo di Gela, di Eni ed Edison. Venti i permessi di ricerca già concessi. Alle isole Egadi, ancora nel Golfo di Gela, a Siculiana Porto Empedocle, Capo Rossello Palma di Montechiaro, Sciacca Agrigento, Sciacca Siculiana, Isole Pelagie, due a Punta Bianca Licata, a Stagnone Capo Feto, a Selinunte fiume Verdura, a Scoglitti Pozzallo, a Fiume Drillo Punta D'Aliga a Mazzara del Vallo Menfi. Luoghi dove sono già in corso ricerche. Venti sono le compagnie in attesa di una risposta dal governo italiano. Di queste, cinque fanno testa al colosso londinese Nothern Petroleum, che con la Shell ha già iniziato le ricerche in tutto il mediterraneo. La società inglese chiede di poter installare tre piattaforme nel mare delle Isole Egadi per avviare ricerche in una superficie complessiva di 1.600 chilometri quadrati. La Northern Petroleum chiede di poter avviare ricerche anche nel golfo di Gela, nella zona di Capo Rossello ad Agrigento e, insieme agli irlandesi della Petrolceltic Elsa, nel mare tra Siculiana e Porto Empedocle. La Petrolceltic è controllata al 100% dall'omonima società irlandese, e in Italia ha stretto collaborazioni con Vega Oil ed Eni, con la quale chiede di trivellare anche nel golfo di Gela. I canadesi della Hunt oil company, invece, hanno adocchiato tre possibili sorgenti di greggio: tra Sciacca e Agrigento, a Siculiana Marina, e un terzo sito tra Mazara del Vallo e Menfi. E se la Puma petroleum da Londra vuole stanziarsi a Lampedusa e Linosa, un consorzio composto dalla British gas e della italiane Eni ed Edison è interessata ad avviare ricerche a Licata e Punta Bianca. Anche i texani, dopo il tentativo della Panther Oil nel Val di Noto, vogliono pompare petrolio nel mar siciliano. Precisamente nella zona di Scoglitti e Pozzallo, attraverso la Sviluppo risorse naturali (Srn), società controllata dalla Mediterranean Resources con sede ad Austin in Texas. Ultima istanza presentata al ministero è quella dei canadesi della Nautical petroleum, che chiedono di avviare ricerche tra la foce del fiume Dirillo e punta D'Aliga.
Un'isola circondata dai pozzi di petrolio
Uno scenario di un'isola circondata dai pozzi petroliferi: questo è quello che potrebbe accadere di qui a qualche anno insomma. Anche se, pare, la politica locale non sembra essere d'accordo. Dal presidente della regione Raffaele Lombardo, che si oppone a nuove trivellazioni, all'Ars che nel mese di agosto ha votato a favore di una mozione contro gli insediamenti estrattivi della San Leon Energy. La società è una piccola srl con 10 mila euro di capitale sociale e una sede in provincia di Lecce. Obiettivo è quello di farsi autorizzare dalle amministrazioni italiane tre esplorazioni petrolifere al largo della costa siciliana, neppure troppo lontano. Tutte con un'estensione compresa tra i 200 e i 500 chilometri quadrati, situate fra Marsala, Sciacca e le isole Egadi. Ferma l'opposizione delle amministrazioni locali ma anche delle organizzazioni che dicono no alle trivelle nei paradisi isolani. «Il parlamento e il governo siciliani - ha detto Roberto Di Mauro, assessore al territorio che ha preparato un documento di 40 pagine sul rischio ambientale in Sicilia - hanno mostrato all'unisono il loro parere sfavorevole alla trivellazione».
Ma Sgarbi vuole i pozzi
Basterà? Anche perché, dopo un no forte agostano, sono cominciati i primi distinguo. A cominciare da quello del sindaco di Salemi Vittorio Sgarbi che, propone di autorizzare la ricerca di petrolio in provincia di Trapani. ''Ho invitato lo scienziato russo Vladimir Kutcherov - ha detto Sgarbi ai margini di un convegno organizzato per l'occasione - con entusiasmo a Salemi per chiedergli di illustrare la sua teoria e offrire, in aree definite, concessioni per l'estrazione del petrolio, discutibili nel Val di Noto e certamente realizzabili nel Val di Mazara con un impatto ambientale tecnicamente piu' modesto di quello dei parchi eolici''. Provocazioni, certo, tipiche dell'estroso esponente politico. Ma sotto sotto anche un tentativo di agganciare un business miliardario. Come se la devastazione della costa sud orientale della Sicilia non fosse stata sufficiente a dare una lezione a chi, per il denaro, passa sopra alla salute di tutti.
La nuova ondata di trivellazioni che si abbatte sul territorio del sud-est siciliano e sul mare prospiciente le coste ragusane (e non solo), contrariamente a quanto avvenuto in altre province siciliane, o nella stessa area iblea in un recente passato, passa tra le maglie lasche del silenzio della politica e delle istituzioni ragusane
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