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Trivelle nei fondali di Pantelleria

In edicola > Articoli pubblicati > N°4-5_2011

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La Sicilia è ormai al centro del risiko legato all’energia
La “banda del buco” da tempo all'attacco dei fondali di Pantelleria

Sono tornate ad operare le trivelle per le prospezioni dei fondali che già sei mesi fa la Provincia di Trapani, coadiuvata dal Dipartimento di Ecologia dell'ateneo palermitano, era riuscita a bloccare per la ricerca di idrocarburi

di Giovanni Percolla

La crisi libica e l'inevitabile portato delle conseguenze del terremoto in Giappone (con tutte le polemiche relative all'energia nucleare che ne sono seguite) rimettono al centro la disponibilità di idrocarburi e combustibili fossili vari. E, tra i territori al centro del risiko legato all'energia (come il nostro giornale da anni sottolinea) c'è proprio la nostra isola. che si dibatte tra una volontà esplicitata da tutti i livelli di amministrazione locale (dalla Regione sino all'ultimo dei Comuni) di non volere trivelle (di terra o di mare) sul proprio territorio e il percorso di trivellazione fatto dalle varie società che negli anni hanno acquisito diritti di trivellazione nelle varie parti dell'isola (e nei suoi mari).

Al largo dell'Isola di Pantelleria, infatti, sono tornate ad operare le trivelle per le prospezioni dei fondali che già sei mesi fa la Provincia di Trapani, coadiuvata dal Dipartimento di ecologia dell'ateneo palermitano, era riuscita a bloccare per la ricerca di idrocarburi, tramite la denuncia delle anomalie all'interno delle relazioni di impatto ambientale che, l'allora Compagnia “Leon” aveva prodotto e presentato al ministero di competenza.

La questione era stata oggetto della trasmissione tv “Report”, alla quale aveva partecipato anche il prof. Antonio Mazzola, già incaricato dal presidente Turano. Con l'accordo odierno, s'intende mettere al lavoro una squadra, per verificare la validità degli eventuali studi prodotti da parte della “Nothern Petroleum” (che intende continuare le ricerche di petrolio nel canale di Sicilia) e che attiverà tutti gli studi necessari per la sicurezza del mare costiero della provincia di Trapani.

Come rispondono le amministrazioni locali? Come possono. Ad esempio, facendo seguito alla convenzione fra la Provincia Regionale di Trapani ed il Dipartimento di ecologia dell'università di Palermo, il presidente dell'ente provinciale Mimmo Turano ha firmato un accordo di collaborazione con Antonio Mazzola, ordinario di ecologia dello stesso dipartimento, per far fronte all'emergenza ambientale del Canale di Sicilia. Basterà?

A confermare la pericolosità del sito è Rocco Savara dell'Istituto Nazionale di Vulcanologia e Geologia. “Stiamo parlando della zona più a rischio sismico d'Italia”, racconta il ricercatore: “Da Ustica, alle Eolie e dalle Eolie a Malta registriamo anche decine di terremoti al giorno. La gente non li avverte, ma ci sono”. Quello che ci si chiede è se quest'attività sismica possa danneggiare o meno le piattaforme. Non è chiaro: “Bisogna capire se le strutture utilizzate per le trivellazioni possono essere preparate adeguatamente per non subire danni”, avverte Savara.

A preoccupare molto esperti e ambientalisti è quello che accadrebbe al Mar Mediterraneo se si verificasse un incidente come quello della Deepwater Horizon nel Golfo del Messico. “Il Mediterraneo morirebbe”, commenta il ricercatore dell'Ingv: “È un mare malato da tempo e già provato duramente dagli scarichi e dal lavaggio delle petroliere. Un incidente in cui fosse disperso anche un decimo del petrolio versato nel Golfo del Messico provocherebbe danni molto gravi, perché il Mediterraneo non ha una buona capacità di auto-rigenerazione”. Si tratta infatti di un bacino in costante deficit idrico: ha una temperatura molto elevata, entra acqua ma ne esce pochissima perché evapora e di conseguenza gli inquinanti si concentrano.

“Il pericolo di un incidente c'è sempre”, ribadisce Luigi Alcaro Coordinatore del Servizio emergenze ambientali in mare dell'Ispra (Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale), “soprattutto quando si effettua la prima perforazione, perché le misure di sicurezza vengono poste in un secondo momento. È importante che lo Stato controlli che tutto venga fatto secondo quanto prescritto in fase di autorizzazione. Ma i controlli spesso rimangono sulla carta. Il ministero delle Attività produttive, che dà le prescrizioni, e il ministero dell’Ambiente dovrebbero verificare il rispetto delle misure di sicurezza”. Tuttavia, il rischio di rivivere l’incubo della Bp sarebbe remoto: “Le trivellazioni nel Mediterraneo vengono fatte dove il fondale è profondo al massimo 150-200 metri”, spiega ancora Alcaro, “mentre i problemi della Bp erano sorti per l’enorme pressione dell’acqua alla profondità di 1.500 metri dove, tra l'altro, si può intervenire solo con strumentazione robotizzata estremamente costosa e con enormi difficoltà tecniche. Da noi, un’eventuale falla può essere riparata dai subacquei e non necessita tecnologie ad hoc”.

Ma, nonostante le rassicurazioni, non è solo il rischio sismico o quello delle fuoriuscite a preoccupare. Nel canale di Sicilia sono state trovate formazioni e specie mai osservate nei mari italiani, dal corallo nero alle gorgonie, fino ai piccoli di squalo bianco. Sono questi i risultati del progetto “Biodiversità Canale di Sicilia”, programma di ricerca finanziato dal ministero dell’Ambiente e svolto da un gruppo di ricercatori dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) Il progetto è iniziato nel 2009 e si concluderà quest’anno. A circa 350 metri, nei tratti più profondi del Canale di Sicilia, sono stati scoperti anche numerosi reef di corallo fossile costituiti per la maggior parte da Lophelia pertusa e Madrepora oculata, specie che nel passato costituivano vere e proprie barriere coralline simili a quelle che oggi si possono vedere nel Mar Rosso. Le isole di Pantelleria, Lampedusa e Linosa rappresentano inoltre veri santuari della biodiversità, il cui ruolo per la riproduzione del grande squalo bianco, per l’alimentazione delle balenottere e per la riproduzione delle tartarughe marine è ormai riconosciuto. “Queste isole – dice il responsabile del progetto Simonepietro Canese dell’Ispra – sono in mezzo al Canale di Sicilia, punto d’incontro tra il bacino orientale e quello occidentale dove confluiscono quindi sia le specie di origine atlantica sia quelle che risalgono dal Golfo di Suez”.

L’area è però a rischio, visto che di recente sono state avviate trivellazioni che hanno individuato ricchi giacimenti petroliferi nella zona di Pantelleria e in altri tratti del Canale di Sicilia. L’istituzione dell’area marina protetta prevista per Pantelleria impedirebbe questo tipo di operazioni, almeno in prossimità dell’isola. Infatti, Canese precisa che “secondo la legge italiana non si può effettuare nessuna attività di prospezione ed estrazione di idrocarburi a meno di 12 miglia da qualsiasi area di protezione”. Questa iniziativa andrebbe affiancata dalla creazione di aree di tutela di alto mare nel Canale di Sicilia.

“Stiamo lavorando per avere l’intesa della Regione Siciliana per istituire il parco a Pantelleria”. Lo ha detto il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, rispondendo ai giornalisti in merito allo studio dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) secondo il quale nel canale di Sicilia sono state trovate formazioni e specie mai osservate nei mari italiani, dal corallo nero alle gorgonie, fino ai piccoli di squalo bianco. “Lo studio – ha proseguito Prestigiacomo – ha ragione dove dice di aumentare le aree protette”. Ma di quando e come questo avverrà, non c'è traccia nelle scelte effettive del ministero. Si tratta di gerundi (stiamo lavorando). Mentre le trivelle scavano (presente indicativo) e riprendono a martoriare i fondali del bellissimo, finora, mare nostrum.

G.P.


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